28/10/2024
L’istituto del cram down, introdotto dal d. lgs. 14/2019, ha, come noto, l’obiettivo di superare le spesso ingiustificate resistenze del creditore pubblico. Lo strumento, infatti, permette al Tribunale di omologare forzatamente il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti anche in assenza di consenso da parte dell’Amministrazione finanziaria. Il cram down è stato modificato dal recente d. lgs. 136 del 13 settembre entrato in vigore il 28 settembre 2024. Sono invariati i presupposti per l’omologazione forzosa: assenza di adesione o voto contrario da parte dell’Agenzia delle Entrate o degli enti previdenziali necessari per il raggiungimento del quorum deliberativo; vantaggio della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria. Diverso trattamento, invece, per il cram down negli accordi di ristrutturazione del debito. Nella fattispecie, la dottrina ritiene che il principio della par condicio creditorum non possa operare negli accordi di ristrutturazione alla stessa maniera di come è generalmente applicato e che, pertanto, non sia possibile conferire un trattamento equo a tutti i creditori aderenti. Questi avrebbero diritto a ricevere solo un soddisfacimento parziale del credito, diversamente dai creditori non aderenti all’accordo di ristrutturazione, i quali possono godere del pagamento integrale. Il legislatore, condividendo i rilievi degli operatori del diritto, ha modificato l’articolo 63 CCII consentendo al debitore il pagamento sia parziale che dilazionato dei tributi, contributi e dei premi. La nuova disciplina, tuttavia, prevede condizioni più rigide per l’omologazione del cram down negli accordi di ristrutturazione: l’accordo non può essere liquidatorio, deve ricevere l’approvazione di almeno un quarto dei creditori aderenti e il soddisfacimento (che non può essere inferiore all’alternativa della liquidazione giudiziale) deve essere pari almeno al 60% dei crediti di ciascun ente. La modifica in esame intende risolvere anche quelli che erano alcuni problemi interpretativi circa la compatibilità tra il cram down e la direttiva Insolvency. È stato infatti aggiornato il testo dell’articolo 88 CCII che ora prevede due nuovi commi volti a disciplinare in maniera più esplicita l’omologazione forzosa. Gli operatori non risultano essere, tuttavia, pienamente soddisfatti. Permangono infatti forti dubbi circa il nuovo testo dell’articolo 88 e sull’utilizzo di alcuni termini che potrebbero trarre in confusione. L’intervento richiesto dalla dottrina, che ha finalmente visto la luce attraverso il correttivo, è sicuramente l’introduzione della transazione fiscale nella composizione negoziata. Il nuovo secondo comma dell’articolo 23 CCII permette infatti il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari, eccezione fatta per quei tributi che rappresentano risorse proprie dell’Unione Europea o degli enti locali. Ritroviamo la transazione fiscale anche nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO). Il correttivo in discordo ha infatti previsto la possibilità di dilazionare e ridurre i debiti tributari e contributivi anche nei PRO. Tale fattispecie non era in realtà esclusa, ma carente di una vera e propria disciplina. In conclusione, l’intervento normativo in commento realizza l’obiettivo di rendere il cram down più accessibile, seppur diversificato nelle modalità di utilizzo, ampliando anche le possibilità di accesso alla transazione fiscale, soprattutto dinanzi a creditori pubblici particolarmente ostili alla collaborazione.
28/10/2024
L’istituto del cram down, introdotto dal d. lgs. 14/2019, ha, come noto, l’obiettivo di superare le spesso ingiustificate resistenze del creditore pubblico. Lo strumento, infatti, permette al Tribunale di omologare forzatamente il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti anche in assenza di consenso da parte dell’Amministrazione finanziaria. Il cram down è stato modificato dal recente d. lgs. 136 del 13 settembre entrato in vigore il 28 settembre 2024. Sono invariati i presupposti per l’omologazione forzosa: assenza di adesione o voto contrario da parte dell’Agenzia delle Entrate o degli enti previdenziali necessari per il raggiungimento del quorum deliberativo; vantaggio della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria. Diverso trattamento, invece, per il cram down negli accordi di ristrutturazione del debito. Nella fattispecie, la dottrina ritiene che il principio della par condicio creditorum non possa operare negli accordi di ristrutturazione alla stessa maniera di come è generalmente applicato e che, pertanto, non sia possibile conferire un trattamento equo a tutti i creditori aderenti. Questi avrebbero diritto a ricevere solo un soddisfacimento parziale del credito, diversamente dai creditori non aderenti all’accordo di ristrutturazione, i quali possono godere del pagamento integrale. Il legislatore, condividendo i rilievi degli operatori del diritto, ha modificato l’articolo 63 CCII consentendo al debitore il pagamento sia parziale che dilazionato dei tributi, contributi e dei premi. La nuova disciplina, tuttavia, prevede condizioni più rigide per l’omologazione del cram down negli accordi di ristrutturazione: l’accordo non può essere liquidatorio, deve ricevere l’approvazione di almeno un quarto dei creditori aderenti e il soddisfacimento (che non può essere inferiore all’alternativa della liquidazione giudiziale) deve essere pari almeno al 60% dei crediti di ciascun ente. La modifica in esame intende risolvere anche quelli che erano alcuni problemi interpretativi circa la compatibilità tra il cram down e la direttiva Insolvency. È stato infatti aggiornato il testo dell’articolo 88 CCII che ora prevede due nuovi commi volti a disciplinare in maniera più esplicita l’omologazione forzosa. Gli operatori non risultano essere, tuttavia, pienamente soddisfatti. Permangono infatti forti dubbi circa il nuovo testo dell’articolo 88 e sull’utilizzo di alcuni termini che potrebbero trarre in confusione. L’intervento richiesto dalla dottrina, che ha finalmente visto la luce attraverso il correttivo, è sicuramente l’introduzione della transazione fiscale nella composizione negoziata. Il nuovo secondo comma dell’articolo 23 CCII permette infatti il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari, eccezione fatta per quei tributi che rappresentano risorse proprie dell’Unione Europea o degli enti locali. Ritroviamo la transazione fiscale anche nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO). Il correttivo in discordo ha infatti previsto la possibilità di dilazionare e ridurre i debiti tributari e contributivi anche nei PRO. Tale fattispecie non era in realtà esclusa, ma carente di una vera e propria disciplina. In conclusione, l’intervento normativo in commento realizza l’obiettivo di rendere il cram down più accessibile, seppur diversificato nelle modalità di utilizzo, ampliando anche le possibilità di accesso alla transazione fiscale, soprattutto dinanzi a creditori pubblici particolarmente ostili alla collaborazione.
01/08/2024
La disciplina della responsabilità degli amministratori ha nel corso del tempo ricevuto diversi interventi legislativi. Questa è generalmente solidale, può variare in funzione dei doveri e del ruolo ricoperto dai singoli amministratori all’interno della società. Diversamente, viene considerata individuale quando questi sono a conoscenza di fatti pregiudizievoli e non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminare o attenuare le conseguenze dannose (art. 2392 co.2 c.c.). Frutto della riforma societaria del 2003, la valutazione dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società – ai sensi dell’art. 2381 c.c. – rientra tra i principali compiti del consiglio di amministrazione. Questa deve essere fondata sulla base delle informazioni ricevute, sul lavoro svolto e sulla posizione della società. L’eventuale inadeguatezza degli assetti adottati può esonerare dalla responsabilità di colpa per fatto proprio gli amministratori delegati. Gli altri sono comunque tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite le informazioni relative alla gestione della società (art. 2381 co.6 c.c.). Nella prassi, tuttavia, il rischio di una responsabilità solidale tra amministratori delegati e deleganti in realtà è molto più alto, in quanto è difficile che una situazione di inadeguatezza degli assetti organizzativi non sia a conoscenza degli amministratori privi di delega. La verifica della adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile rientra nella Business Judgement Rule degli amministratori (principio di insindacabilità della gestione), pertanto una chiamata in responsabilità, per essere fondata, deve essere in grado di dimostrare gravi anomalie tra gli assetti adottati e la natura della gestione dell’impresa. Tuttavia, il legislatore non fornisce una risposta concreta alla domanda “in quali situazioni l’assetto organizzativo è incompatibile o inadeguato allo svolgimento della gestione della società?”. L’articolo 2086 co.2 c.c. da solo non sembra essere sufficiente a chiarire la situazione. A tal riguardo esiste rilevante giurisprudenza in materia di adeguatezza degli assetti nata da denunce al tribunale che affermavano come la mancanza di una adeguata organizzazione rappresenti una grave irregolarità degli amministratori ex art. 2409 c.c. Ciò avverrà in occasione di liquidazioni giudiziali o di concordati liquidatori nei quali la legittimazione all’azione spetta in via esclusiva o concorrente agli organi delle procedure concorsuali. Il problema sarà quello di quantificare il danno derivante dalla mancanza di adeguati assetti, quantificazione non semplice in quanto non è agevole individuare una causalità diretta tra la mancanza di adeguati assetti e danno. In definitiva, la gestione e la prevenzione della crisi sono momenti cruciali della vita di un’impresa e dipendono da un assetto organizzativo in grado di rilevarla tempestivamente. La capacità di implementare un modello flessibile e in grado di rispondere rapidamente ai dissesti della società deve essere il primo passo da muovere per anticipare la crisi ed evitare quindi di dover ricorrere a istituti di regolazione.
23/07/2024
Il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato in via preliminare il terzo decreto correttivo nei confronti del D.Lgs n. 14/2019, intervenendo prevalentemente sulle norme del CCII, nello specifico sull’articolo 25 quinquies (limiti di accesso alla composizione negoziata). Sul precedente testo (ora modificato dal nuovo articolo 5, comma 14, del correttivo-ter) si erano sviluppate due tesi interpretative contrapposte: una restrittiva e una estensiva. Nel primo caso, l’accesso alla composizione negoziata era impedito solo nei casi in cui è il debitore stesso ad aver presentato un ricorso per la propria liquidazione giudiziale. Nel secondo, invece, l’accesso alla composizione negoziata era impedito, oltre che per l’ipotesi appena descritta, anche nei casi in cui sia stato precedentemente depositato un ricorso da un creditore sociale o da uno dei soggetti elencati dall’articolo 37, comma 2 CCII. L’intervento del correttivo-ter modifica la prima parte del testo dell’art. 25 quinquies (“L'istanza di cui all'articolo 17 non può essere presentata dall'imprenditore in pendenza del procedimento introdotto con domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza anche nelle ipotesi di cui agli articoli 44, comma 1, lettera a), e 74 o con ricorso ai sensi dell’articolo 54, comma 3”), lasciando invariato il secondo periodo per cui resta impossibile per l’imprenditore che anche abbia rinunciato alle domande indicate nel primo periodo nei quattro mesi precedenti, inoltrare domande di accesso alla composizione negoziata. Il problema interpretativo dei limiti di accesso alla CNC è sicuramente risolto, nel senso che l’imprenditore non può inoltrare la domanda di accesso all’istituto della composizione negoziata solo nell’ipotesi in cui abbia fatto ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale. Resta ferma quindi la libertà di poter accedere alla composizione negoziata se il ricorso è promosso da un creditore o dal PM. In conclusione il Legislatore torna sui suoi passi, riprendendo quella che era la precedente formulazione, non solo per porre fine al contrasto interpretativo di cui abbiamo parlato, ma anche per conformarsi a quelle che sono le finalità della direttiva Insolvency, dando modo alle imprese risanabili di accedere più facilmente tanto agli strumenti di regolazione della crisi quanto al percorso di composizione negoziata della crisi d’impresa.
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